VERA STORIA

VENETI E CELTI SONO LA STESSA FAMIGLIA.

Veneti è solo il nome di una delle tante tribù celtiche della Prima Europa ma potremo anche dire che tutti i Celti sono Veneti chiamati con altro nome. La leggenda di Antenore è solo una propaganda romana per la politica vincente del dividi et impera con cui riuscirono a conquistare le Gallie.

Sintesi essenziali su articoli scritti in precedenza, di Auro Wild.

Andiamo al sodo:

Punto primo; Smontiamo subito un mito:

In Anatolia del Nord (regione della Paflagonia, affacciata sul Mar Nero) non esiste nessun reperto paleoveneto né alcuna evidenza archeologica venetica.

La leggenda di Antenore sembra frutto di pura invenzione ad uso e consumo della propaganda romana per farsi amici i Veneti che già possedevano un antica civiltà nel momento della loro espansione, una civiltà venuta da Nord.

Prima della venuta dei Romani non esisteva leggenda antenorea in terra veneta.

I Romani quindi hanno usato i racconti di Omero (Iliade) per giustificare un origine divina comune attraverso il troiano Antenore (duce dei Veneti) ed Enea (capostipite dei Romani) entrambi giunti in Italia da Troia, secondo loro ubicata in Anatolia.

Troia in realtà non è mai stata realmente collocata geograficamente né Omero era greco e le leggende omeriche sono racconti tramandati dai Greci di ignota provenienza.

L’archeologo H. Schliemann disse di aver scoperto Troia in Turchia, tuttavia mancano le prove evidenti della grande guerra narrata nelle omeriche; di sicuro ha scoperto le vestigia di un antica città che non è Troia.

Ps: I Veneti vengono menzionati nell’Iliade ma non i Celti né i Romani che ancora non esistevano, quindi si deduce che i Veneti erano atavici progenitori della famiglia indoeuropea, o proto-celti.

Punto secondo; I Veneti non vengono ascritti tra gli italici ma ai gruppi celtici:

Secondo l’antropologo Otto Reche e studiosi d’oltralpe, i Veneti fanno parte della grande famiglia dei Celti in quella visione che viene definita celtitudine veneta suffragata da prove archeologiche che li riconducono ad Hallstatt, definita Culla della Cultura Celtica, per moda e consuetudine moderna definita patria d’origine dei Celti, ma prima ancora abitata dai Veneti come hanno spiegato molti autori inclusi gli Sloveni I. Tomažič, M.  Bor e J. Šavli.

Alla luce dei loro studi la cultura venetica è protoceltica, quindi i Celti altro non sono che i Veneti stessi identificati con altro nome.

Anche linguisti affermati come Harald Haarmann hanno definito i Veneti dell’Adriatico come gruppo di lingua indoeuropea non italico.

Andres Pääbo ha fatto di più, con uno studio sul venetico che toglie, o se vogliamo introduce, ogni dubbio.

Nessun linguista italiano ha mai risolto il problema della lingua venetica, associandola spesso col latino invano.

Reperti archeologici riconfermano la discesa dei Veneti attraverso la via dell’ambra dal Baltico all’Adriatico intorno al 1200 a.e.v.

La cultura dei campi d’urne e della cremazione dei corpi era comune ai Veneti e ai Celti delle origini perché in realtà non vi era distinzione fra essi.

Le distinzioni sono state fatte solo in epoca classica per separazioni tribali dovute alla crescita demografica.

I Greci chiamarono per la prima volta questi gruppi indoeuropei Keltoi (Celti) mentre chiamarono Enetoi i Veneti riprendendo questo nome dai racconti di Omero, tuttavia se li avessero incrociati prima nella storia, probabilmente avrebbero chiamato Veneti e Celti alla stessa maniera.

Terzo punto; l’irradiamento da Hallstatt:

Per condizione geografica naturale Hallstatt si trova vicino ai confini dell’odierno Triveneto.

Al tempo dei Romani Hallstatt faceva parte della regione del Noricum, confinante con la Decima Regio, la terra dei Veneti, ma anche la Vindelicia è da considerarsi veneta.

Prima ancora Hallstatt era venetica e sede della nascita storiografica dei Celti.

Ribadisco il termine stesso dato dai Romani alla loro Decima Regio “VENETIA ET HISTRIA” ricordando che la produzione artistica venetica delle situle accomuna l’area del Norico, attuale Austria, quindi Hallstatt, con tutto il Veneto e la Slovenia.

Altro che Antenore e le favole romane, qui ci sono reperti e identità culturali comuni.

Inoltre, Veneti e Celti adoravano le divinità nelle foreste, a differenza di Greci e Romani che costruivano templi di pietra, avevano tradizioni e costumi comuni come diceva Polibio, ed erano entrambi grandi metallurgi e lavoratori sopraffini di lamine in bronzo decorate (da cui l’arte delle situle che ebbe origine nel tempo dei campi d’urne e si propagò verso l’adriatico) arte che accomuna i primi Celti ed i Veneti e che non appartiene alla civiltà classica di Greci e Romani.

L’area Bellunese sta restituendo reperti di magnifica fattura, come le situle d’Alpago a riprova della comunicazione che attraverso le vie montane dolomitiche portava in Austria e più a Nord, mentre a sud termina nell’area adiacente al Po, tranne che per rare manifestazioni di quest’arte nell’area etrusca.

Il 45° parallelo, come separatore naturale, divide l’antica area degli “Iperborei” Veneti e Celti a nord dalle culture classiche a sud di questa precisa latitudine.

Il 45° parallelo scorre in effetti sulla linea del fiume Po (Eri-Danu-Eridano) e a nord del Mar Nero, dove sorge la Crimea e le distese russe, notoriamente definite terre dei Veneti da storici antichi (su questo è importante lo studio degli idronimi russi che basano il loro nome sulla divinità dell’acqua Danu, che si ritrova alla radice di Danubio. Don, Eridano, ecc…).

Sotto tal linea sono fiorite tutte le altre culture classiche, anatoliche, greche, cananee e romane.

I Veneti per separazione territoriale dai cugini Celti hanno diversificato la lingua e hanno impostato la loro vita sociale soprattutto sul commercio piuttosto che sulla guerra e questo ha permesso loro di sopravvivere, anche sotto il dominio romano, tuttavia non sono elementi determinanti per separarli dalla loro comune derivazione genetica con gli altri Celti.

Quarto punto; Il senso di appartenenza e la falsificazione storica.

Il senso di appartenenza viene da derivazione genetica e simpatia verso le genie simili, oltre che dal retaggio culturale.

Dopo l’annessione all’Italia il Veneto è stato trascinato verso una nuova falsificazione storica per assorbimento del nuovo stato occupante.

La storia è sempre manipolata dai vincitori per creare nuovo senso di appartenenza, ma questa alterazione è politica e non ha a che fare con la storia.

Gli italiani di oggi sono per la maggior parte di fenotipo e mentalità mediterraneo/levantini ed è innegabile il fatto che rimandino l’origine dei popoli italici e della loro storia alla culla classica e del Vicino Oriente, senza aggiungere l’influsso prepotente della cultura giudaico cristiana.

La leggenda di Antenore attraverso le fonti latine è stata posta avanti rispetto all’archeologia per creare appunto questo senso di italianità in un Nord est estraneo a se stesso, un po’ come in Terrasanta dove gli archeologi non trovano tracce dei favolosi regni biblici ma vengono tacciati dai rappresentanti religiosi per tenere in piedi il mito di Israele, il concetto non cambia; si tratta di falsificazione storica a fini egemonici.

I Veneti di oggi non sono quelli delle origini. Oggi potete incontrare Veneti che sembrano Tedeschi, altri che sembrano Arabi, altri ancora che sembrano Mongoli, etc; ma questo è dovuto al mescolamento etnico avvenuto durante secoli e secoli di diversi domini e di rapporti commerciali con paesi stranieri dal tempo dei Romani a quello barbarico e dalla Serenissima sino ad oggi.

I Veneti delle origini non erano un popolo italico e come i loro parenti Celti si sarebbero presentati fisicamente con dominanti nordiche e alpinoidi.

Tralasciando i numerosi libri, che normalmente le persone non leggono, di recente una serie di documentari trasmessi anche in Italia, intitolati “I Celti; una storia mai raccontata” con la regia di Marek Bures e Max Serio mostra ricostruzioni storiche in cui l’abbigliamento e lo stile di vita sono praticamente quelli dei Paleoveneti, riprodotti dalle immagini nelle situle e dai ritrovamenti archeologici, partendo da Hallstatt, perché appunto Celti è nome generico di molte tribù indoeuropee, così come genericamente si indicano i Pellerossa senza distinguerli per nomi tribali come Cheyenne, Sioux, Chippewa, Apache, etc….

Allo stesso modo, per esempio, i Celti Orobi hanno dato nome alle montagne Orobie, i Celti Boi hanno dato nome alla Boemia e alla Bavaria, i Celti Veneti al Veneto Adriatico.

Non considerare i Veneti come Celti è servito alla propaganda romana e poi italiana per rifarsi al mito inconcludente di Antenore e per non mostrare i Veneti come popolo diverso da quello italiano.

Ironicamente, ricordo le parole di un grande giornalista italiano, Indro Montanelli, il quale disse: Veneti e Venezia non sono Italia, cosa quanto mai evidente.

Quindi, il senso di appartenenza e la storia dei popoli spesso non coincide con il senso dello Stato (che non è la Nazione) né con l’alterazione storica che diventa falsificazione.

Quinto punto; dubbi leciti: gli elementi orientaleggianti, i cavalli e l’area carpatico-scitica.

Indubbia è la provenienza nordica dei Veneti Primi attraverso la via dell’ambra come è indubbio il fatto che il mito di Antenore non è comprovato da dati archeologici, completamente assenti in Turchia. Ma è capitato che alcuni formulino la domanda: Come mai l’arte delle situle veneta quanto celtica ha scene orientaleggianti?

Come mai i cavalli dei Veneti antichi erano simili al cavallo arabo?

Allora, l’arte orientaleggiante non ha a che fare con il Medio Oriente ma con l’area carpatico-scitica e le distese euroasiatiche; il cavallo veneto era simile a quello arabo ma non necessariamente proveniente dall’Arabia, piuttosto dalle grandi distese euroasiatiche, dove i primi cavalli vennero domati e da dove provengono tutti gli equini.

Tra un po’ parleremo del rapporto dei Veneti con le distese carpatico-scitiche.

Il cavallo arabo è stato selezionato nei millenni dalle tribù del deserto per resistere alle condizioni estreme del loro ambiente, ma l’origine del cavallo non è nel deserto. I Veneti erano considerati dagli antichi come il popolo dei cavalli e devono aver portato i quadrupedi dall’oriente asiatico nottetempo, selezionando una razza simile a quella araba, ma non dall’Arabia.

Come sappiamo i cavalli, per le conoscenze di oggi, furono allevati in principio dai Botai, una popolazione che abitava nell’area del Kazakhastan e poi furono introdotti in Europa ed anche nelle terre desertiche.

Ora sorge un dubbio, poiché noi ci soffermiamo alla nascita dei Celti da Hallstatt e prima ancora dei Veneti di Lusazia, ma non è ancora certa l’Urheimat di tale civiltà protoindoeuropea veneto-celta, che sembra essere mitologicamente ubicata nell’estremo settentrione del mondo all’origine, ovvero la leggendaria Hyperborea (per questo Veneti, Celti, Sciti, Cimmeri e Daci spesso vengono citati come Iperborei dagli antichi) ma oltre la leggenda, e più vicini alla storia che precedette la civiltà lusaziana, dobbiamo osservare alle distese eurosiberiane come luoghi di antiche migrazioni.

I Veneti dell’Adriatico provengono dalla Cultura di Lusazia che si sviluppò nel Baltico intorno al 1300 a.e.v. e scesero nell’Alto Adriatico attraverso la Via dell’ambra intorno al 1200 a.e.v. , fondando anche la Civiltà di Hallstatt.

Ricordiamo i nomi venetici delle città famose dal Baltico all’Adriatico, lungo la rotta delle migrazioni: Vineta sul Baltico, Vienna in Austria e, attraverso la Val Venosta “valle dei Veneti” si approda a Venezia in Adriatico.

Anche la Civiltà celtica di La Tène, successiva a quella di Hallstatt, si trova sulla rotta venetica della Via del Sale e dello Stagno che raggiungeva la Bretagna, altra terra abitata dai Veneti, che forniva lo stagno indispensabile per forgiare la lega del bronzo di cui Veneti e Celti erano maestri artigiani.

Il Lago di Costanza in Svizzera era chiamato Lacus Venetus non a caso e non semplicemente per indicare il colore azzurro, come inteso dai Romani, che tra l’altro è il colore nazionale dei Veneti.

Prima ancora dello svilupparsi della Civiltà di Lusazia o dei campi d’urne, Celti e Veneti non erano un popolo differenziato e tribù del loro ceppo già frequentavano rotte commerciali che attraverso i fiumi navigabili portavano nelle distese russe e nell’area carpatico scitica, oltre alle aree atlantiche dove poi i Veneti fondarono insediamenti in Bretagna e nelle isole oceaniche.

Sciti e Cimmeri frequentavano le popolazioni venetiche (fonti russe e il libro dei tre Sloveni lo dicono chiaramente) per questo le raffigurazioni orientaleggianti ereditate e presenti nelle situle celtiche e venetiche hanno tratti che le ricollocano all’area carpatico scitica e non mediorientale.

Allo stesso modo i cavalli dei Veneti, che a ritroso nel tempo devono essere stati importati da tali aree, hanno caratteristiche simili ai cavalli arabi ma non sono arabi.

Gli Sciti sono considerati dal geografo Strabone Celti e secondo studiosi russi l’origine dei Celti è scitica: il termine con cui chiamavano i nobili Sciti era Skolot, da cui deriva Skolt o Kelt.

Ancor oggi in Scozia si usa dire Keltic piuttosto che Celtic e nella tradizione delle isole atlantiche una teoria che parla del quarto popolo invasore dell’Irlanda, i Tuatha De Danann, li indica come Sciti che attraverso i fiumi navigabili russi raggiunsero il Baltico e da lì superarono il Mare del Nord e l’Atlantico scendendo dalle isole settentrionali.

Sciti definiti Skolt o Kelt che incontrando i Greci furono definiti Keltoi.

I Territori carpatico scitici vengono definiti da Snorri Sturluson Vanaheimr, ovvero terra mitologica dei Vani, che corrisponde ai territori dei Veneti quali progenitori dei russi secondo le cronache storiche di Jordanes e lo stesso Snorri identifica l’Asgard con Troia (che ancora nessuno sa dov’è).

Nel principio sembra che Sciti, Veneti e Celti siano partoriti da una preistoria comune, da cui il popolo mitico degli Iperborei Tuatha De Danann partì a colonizzare le isole atlantiche portando con sé il nome dell’antica dea delle acque Danu o Dana che diede il nome ai fiumi russi, al Danubio e al Po come Eri-Danu.

Tuatha significa tribù attraverso la parola Teuta che è la stessa usata da Celti e Veneti per indicare una comunità.

Sempre Strabone indica la terra degli Iperborei sopra il Ponte Eusino, cioè sopra il Mar Nero e sopra il 45° parallelo, già menzionato, i Greci a loro volta dicono che la terra degli Iperborei si trova sopra i flutti del fiume Eridano, sopra il Po e sempre appena sopra il 45° parallelo, laddove io per congettura ho creato una mia teoria: gli antichi chiamavano Iperborei niente meno che i protoeuropei del blocco euroasiatico, ecco perché Veneti, Celti e Sciti vengono a volte definiti Iperborei, quali eredi di un’origine vetusta e settentrionale.

Ora, tutti questi elementi vanno a riconfermare che, genericamente, sia Veneti che Celti indicano un vasto calderone genetico protoeuropeo che si distingue nettamente dalla realtà classica e del Medio Oriente, giacché la latitudine critica del 45° parallelo nell’esatta metà tra il Polo Nord e l’Equatore, separa naturalmente il bacino della cultura classica e mediorientale dalla parte dell’emisfero settentrionale adibita allo sviluppo della cultura indoeuropea ed indoariana che produsse anche i Veda orali, conservati poi in India,  che all’origine facevano parte della vera religiosità europea da cui derivò probabilmente anche la sapienza druidica, che produsse i vari politeismi estranei alla cultura abramitica che poi si è impossessata dell’Occidente, falsificandone anche la storia.

I Veneti dell’Adriatico sono solo una delle tante tribù che nel pregiudizio italiano sono state separate per dar credito a teorie fuorvianti come il mito di Antenore.
Voglio ricordare inoltre il famoso linguista sovietico Aleksei Shakhmatov che identificò i Celti come i Wends, ovvero i Veneti, creando un legame celta veneto presso il Mar Baltico da dove la cultura dei campi d’urne si irradiò verso Hallstatt e l’Adriatico.

Ci sono troppi elementi convergenti, fonetici, linguistici, materiali ed archeologici per riconsiderare la storia dei Veneti originali.

Molte altre nozioni e raccolte di elementi da bibliografia le ho trascritte nel libro Figli del Sole Iperboreo, edito nel 2022.

MAGICO ORIENTE

Il fascino impalpabile del ponte tra Europa e Sudest Asiatico, attraverso i simboli vedici portati dagli Indoariani e mescolatesi con le culture indigene oltre l’Indo.

Sensazioni da diario di viaggio. Articolo di Auro Wild.


Un filo culturale lega gli Europei all’Oriente vedico, non solo attraverso la lingua madre indoeuropea nel metro dello sanscrito, ma anche condividendo schemi mitici e simbolismi comuni.

I primi miti li lessi da bambino e a 10 anni mi fu regalato un libro sulle leggende del mondo.

In quel testo, il primo mito che lessi fu il racconto birmano di Min Lay e il dragone, mentre il secondo fu la saga del Nibelunghi, che sempre parlava di una prova che coinvolgeva l’eroe Sigfrido contro il drago Fafnir.

Insomma, lessi prima un racconto orientale e poi uno europeo.

Oggi non vedo questa cosa come una casualità, piuttosto come un evento di sincronicità e di attrazione mentale verso racconti che sembravano scelti a caso, invece erano già parte di me.

I Veda sono il tramandamento del sapere antico che fu portato dagli Indoariani, dalle terre eurosiberiane al nord dell’India nel II millennio avanti era volgare, ed è per questo che noi Europei veniamo spesso affascinati da ciò che si trova nella tradizione mitologica e spirituale dell’India, perché in tale retaggio si conserva qualcosa che apparteneva anche a noi e che poi abbiamo perduto, assorbiti nella fede straniera venuta dal deserto.

La fede e il credo tuttavia sono aspetti appetibili solo per chi è cascato nella trappola mortificante del monoteismo abramitico, mentre altri, per dote naturale o per istinto di conservazione hanno intuito che la Verità non è dove ci hanno insegnato, perché non si può insegnare.

Ora, questo preambolo era doveroso per dire che la mia personale attrazione per l’oriente vedico non è inferiore a quella che provo per le antiche tradizioni celtiche, venete, germaniche e slave, nelle quali appunto ritrovo elementi coincidenti a quelli vedici e totalmente dissonanti da quelli giudaico cristiani, i quali appartengono ad un’altra tradizione e alle genti semitiche.

Gli Europei e tutti i popoli mescolatesi con gli Europidi notte tempo hanno invece un filo conduttore che, attraverso i loro miti, li riporta a quella culla ancestrale che personalmente chiamo iperborea o dell’Estremo Settentrione del Mondo, come realizzò il dotto indiano Bal Gangadhar Tilak e non solo lui.

Questo articolo è dedicato all’oriente vedico, e alle derivazioni del sapere atavico in nuove linee di pensiero come il tantrismo e il buddhismo, senza dimenticare che le antiche tradizioni celtiche, ma anche greco-romane, germaniche e paleoslave avevano nel loro politeismo la stessa forza di quello che si è conservato così lontano.

Ricordiamo inoltre che non bisogna confondere l’Oriente di cui sto parlando con ciò che è levantino e semitico.

In India e in Nepal ho avuto il piacere di parlare con persone formate nelle loro tradizioni oltre ad apprezzare le architetture che in qualche modo ricordano anche vagamente quelle della tradizione slava.

Gli Slavi delle distese russe sono i popoli ponte tra Europa, Siberia e Sudest asiatico, Quello stesso ponte che fu percorso migliaia di anni fa dai carri degli Indoariani, definiti anche indoeuropei e indogermanici.

L’epicità dei racconti quali la Bhagavad Gita, il Mahabharata e il Ramayana ricordano vagamente la grandezza dei poemi celtici e delle saghe europee precristiane.

Il celtismo, definito anche induismo dell’occidente, dava il senso pieno di una culla ancestrale comune per i racconti che poi si sono spostati e riadattati attraverso il ponte Europa – Siberia – Nord dell’India e contaminazioni nel Sudest Asiatico.

In India e Nepal gli alberi tempio potrebbero essere specchio degli alberi sacri un tempo venerati nell’Europa precristiana.

Le iconografie e le arti visive di tradizione vedica, integrate anche nel mondo del buddhismo, del dravidismo, del tantrismo e di altre culture, inclusa quella Khmer della Cambogia mostrano i molteplici aspetti dell’induismo e dei suoi milioni di dèi.

La cultura vedica si è integrata ed è sopravvissuta in simboli che ridondano in tutto quell’Oriente che tanto affascina gli Occidentali e analizzandone i miti possiamo ritrovare la grandezza di ciò che fu la cultura indoeuropea antica con tutti i suoi politeismi derivati, da quello celtico e protogermanico a quelli slavi e greco-romani.

Georges Dumezil più di altri ha dimostrato la complementarità dell’organizzazione sociale, della lingua e dell’ideologia comune degli indoeuropei, che si ritrova nella cultura dei popoli originali europei quanto in India e nei paesi dove è giunta la cultura vedica.

Ed è davvero singolare notare come l’occidente si sia inaridito e semitizzato abbracciando il monoteismo venuto dal deserto, mentre ciò che riflette la vera natura spirituale ed ideologica dell’europeo sia sopravvissuta, pur rivestita di misticismo esotico, nell’Oriente vedico.

Nei miei numerosi viaggi in Asia non ho potuto che fare esperienza di questa sottile trama che lega la nostra antichità con le tradizioni lì conservatesi.

Non solo le lingue indoeuropee si legano nel metro dello sanscrito, ma anche molte altre forme di arte e di pensiero che i più attenti riescono a percepire.

L’occidente sta sprofondando tra i tentacoli del giudaismo internazionale, quella creatura estranea che ha stregato le menti di intere masse.

Ciò che è nostro, culturalmente e spiritualmente, sottile e non manifesto, lo possiamo solo realizzare personalmente e oltre le illusioni che spesso scambiamo per realtà.

Non importa se sia osservando simboli dell’arte orientale o le foglie di un albero, l’importante è spostare la nostra attenzione altrove, sfuggendo ai dogmi del nostro tempo e cercando la via che conduce alla liberazione e all’Assoluto.

 

I VENETI NON SONO ITALIANI, NON LO SONO MAI STATI E MAI LO SARANNO.

Viviamo in un mondo dove religioni, istruzione e società si basano su falsificazioni a fini egemonici, con la complicità di un apatia culturale che domina masse senza identità. Potremo definire tutta questa farsa con la frase latina “ad usum delphini” ad uso del Delfino, ovvero dell’istruzione manipolata a favore di chi comanda.

Fin dalla preistoria il nord est adriatico ha mostrato, attraverso l’archeologia, la presenza di tumuli e castellieri che non hanno eguali nel resto della penisola, denotando fin dall’antichità un estraneità culturale ed un unicità ben definita. Poi, circa 3200 anni fa, giunsero i Veneti, un popolo di lingua indoeuropea non italica sceso dal settentrione, dall’area nord europea del baltico, attraverso la via dell’ambra.

Stimati linguisti e storici hanno ben indagato sul popolo dei Veneti, i quali hanno dato il nome anche alla Nazione che oggi viene definita regione.

Nel pregiudizio italiano, i Veneti vennero ascritti come popolo italico preromano, per ovvie ragioni politiche, cercando di tradurre la loro antica lingua con il latino, senza successo, e per forza aggiungo, dato che il venetico è più antico e non può essere tradotto con una lingua di più recente formazione. Sempre per lo stesso pregiudizio, vige il verbo delle fonti latine, laddove hanno diffuso la leggenda di Antenore e della provenienza orientale dei Veneti dalla regione della Paflagonia a nord dell’odierna Turchia, peccato che in Anatolia non esista nessun reperto archeologico della civiltà veneta, niente di niente!

Quante volte vi siete imbattuti in frasi fatte o video nel web in cui sedicenti esperti (spesso non veneti), storici allineati o appassionati cominciano dicendo: oggi vi parleremo di un popolo dell’Italia preromana, i Veneti, le fonti li citano bla, bla, bla, …, provenirono dall’Asia Minore e bla, bla, bla… senza affrontare il vero tema della provenienza né citando tutti gli autori che dicono altro. C’è da dubitare che questi youtubers abbiano consultato gli studi e le sintesi di Müller Karpe o di Giovanni Leonardi, persone che hanno messo le mani sulla terra e sui suoi resti, laddove le fonti possono andare in contrasto, aprendo nuovi interrogativi. L’illustre, grande studiosa di archeologia e sovrintendente delle Antichità del Veneto, Giulia De Fogolari, ad esempio, citò sempre tre possibili provenienze, parimenti agli Etruschi, da persona di raffinata intelligenza e senza escludere nulla. Quindi mise in campo la possibile provenienza omerica, quella da nord, attraverso i valichi alpini e quella da est, attraverso i Balcani per i passi friulani.

Citiamo anche Vera Bianco Peroni, Renato Peroni, Gianluigi Carancini, Raffaele De Marinis, Otto Hermann Frey e volendo tanti altri, i quali hanno testimoniato in maniera asettica e scientifica certi tipi di rinvenimenti come spade, pugnali, bronzi, resti ceramici di tipologia affine a ciò che definiamo nostra e che è distintiva e propria di una cultura veneta, nord italica, retica e celtica che differisce dal resto dei popoli italici e del Mediterraneo, e che questa tipologia proviene dalle Età del Bronzo sviluppatesi nell’Europa continentale.

In alcuni casi mi sono imbattuto in persone che citavano la Treccani come fonte unica, la quale riferiva le solite notizie vigenti sui Veneti, senza alcun approfondimento e prive di ogni valore. Vorrei ricordare che se si vuole informarsi su un popolo, ci si deve riferire ad una mole enorme di dati e non sul paragrafo succinto di una enciclopedia-dizionario, che ripete a pappagallo notizie ufficializzate dalle solite parti. Stendiamo un velo pietoso e riprendiamo.

La meravigliosa leggenda omerica di Antenore infatti altro non è che una favola di pura invenzione propagandata dai Romani per farsi amici i Veneti che avevano sviluppato una civiltà progredita prima della loro. Padova fu fondata infatti quasi mezzo millennio prima della nascita di Roma, secondo la fonti, ma attraverso gli scavi si sa che è molto più antica e non vi è traccia della favola antenorea in terra veneta prima della presenza dei Romani. Tito Livio d’altronde lavorava alle dipendenze di Augusto e fu al suo tempo che venne tramandata la leggenda favolosa. Se fosse vera quella leggenda, perché non venne tramandata prima dai Veneti stessi e trasmessa ai Romani? Invece, è evidente che in epoca paleoveneta non c’era nulla di tutto ciò. E si sappia che la tomba di Antenore a Padova è un falso, un’opera di recente costruzione, un’edicola medievale dedicata appunto al personaggio favolistico.

Antropologi d’oltralpe come Otto Reche hanno ascritto i Veneti non tra i popoli italici ma tra quelli celtici “celtitudine veneta” ed includiamo pure Polibio e Strabone, spesso ignorati, ed è evidente che la cultura venetica provenne da nord e che la stessa Hallstatt sia sorta nei territori frequentati dai Veneti prima che si identificasse come culla della cultura celtica. La cultura venetica infatti si può considerare protoceltica. Allo stesso modo linguisti affermati come Harald Haarmann e altri hanno distinto il venetico come lingua indoeuropea non italica, altri ancora come protoslava. A proposito di studi alternativi sulle origini, non dimentichiamo il contributo essenziale dei tre sloveni Jožko Šavli, Matej Bor e Ivan Tomažič, nel libro I VENETI progenitori dell’uomo europeo, tradotto in tre lingue oltre lo sloveno e censurato in Italia, oltre al più recente studio di Andres Pääbo, THE VENETIC LANGUAGE, a cui seguiranno altri. Pure Indro Montanelli, una geniale eccezione nel giornalismo italiano, disse che i Veneti e Venezia non sono Italia.

I Veneti delle origini erano un popolo nordico e non  latino, quelli di oggi invece sono il risultato di una promiscuità generata da secoli di diverse dominazioni, tuttavia culturalmente i Veneti continuano ad esistere; mantennero la propria indipendenza anche sotto il dominio romano e per più di mille anni la Repubblica di Venezia ha dominato il Nordest, superando in longevità l’impero romano di quasi tre volte, eppure nei libri didattici delle scuole dell’obbligo non se ne parla, appunto perché i programmi scolastici programmano le nuove generazioni alle falsificazioni storiche che di volta in volta formano le nuove società, senza dire che la preistoria viene trattata marginalmente. …Celebre la frase del conte di Cavour: Abbiamo fatto l’Italia, ora facciamo gli Italiani! Quindi va da sé che il sentimento nazionalista italiano è una costruzione che non ha a che vedere né con la storia reale né con le radici dei diversi popoli che compongono questa finzione giuridica chiamata Italia, a sua volta creatura e azienda dell’America (una finzione nella finzione, che genera solo falsi ideologici). Purtroppo la fortuna della falsificazione storica e della sottomissione a patrie fasulle ha due ingredienti fondamentali: 1- Un potere politico, economico e culturale in mano a manipolatori dell’istruzione e 2- Una massa di persone assenti e prive di memoria storica, concentrate solo su se stesse per appagare le necessità create dalle illusioni e dagli illusionisti.  Il sentimento di uno stato nato nella falsificazione culturale non può che generare la distruzione dello stato stesso, è solo questione di tempo! Il terrore di un sistema illusorio è che le menti degli illusi si risveglino e la storia insegna che nessun torpore è eterno.

Oggi il demone del fallimento sociale si chiama globalismo ed il suo motore mortificante si identifica nei poteri forti dell’alta finanza, promuovendo l’idea che i gruppi etnici-culturali non esistono per esercitare il potere del controllo totale sulle masse, attraverso mistificazione, svilimento dei ruoli sessuali, multiculturalismo caotico e promiscuità etnica disarmonica. I programmi scolastici sono appunto frutto di questa intenzione atta all’annichilimento dell’essere umano, che di per sé ha perso la curiosità per ciò che è importante e si concentra sempre più sulle banalità e le trappole della comodità. Di fatto anche la storia è diventata una trappola in seno alla falsificazione. I nuovi studenti sono programmati ad un educazione atta a generare “nuovi ignoranti” apparentemente istruiti ma isolati in prigioni mentali ben collaudate. I titoli di studio valgono più delle persone, quando dovrebbero essere le persone a generare il loro titolo.

Pensate se la storia non fosse modellata ad usum delphini, se la cattedre fossero gestite da uomini non politicizzati e neutrali; allora la storia andrebbe in un’altra direzione, opposta all’idea stessa di globalismo e di appiattimento: si darebbe vigore all’idea delle vere nazioni, composte da etnie ben definite, unite in seno al valore del sangue, della mentalità  e delle attitudini genetiche, ognuna indipendente economicamente, socialmente e culturalmente. Questo è improponibile in un tempo in cui poche famiglie vorrebbero sovvertire l’ordine naturale delle cose a proprio vantaggio, facendo dell’umanità un ammasso di bestiame omologato sotto la bandiera di un uguaglianza inesistente, tuttavia il risveglio a nuova coscienza spetta solo al singolo individuo e come dice il proverbio, il diavolo fa le pentole e non i coperchi, quindi spetta a noi guardare dentro al brodo preparato da altri per separare il commestibile dal veleno.

La natura è diversità, l’uguaglianza “forzata” è contro natura e per questo fallirà! Se esistono le razze tra i gatti e i cani, se esistono le varianti di specie in tutte le creature viventi, come fanno a non esistere le etnie umane? Il valore della storia sta nel valore dei popoli e delle armonie tra di essi, senza questo vige il caos della desolazione su cui domina il verbo del male. La risposta sta nella solita falsificazione atta a dominare le masse laddove anche il termine razzismo è un invenzione del sistema per evitare che la gente si faccia domande e si identifichi in ciò che la natura crea, ovvero la varietà.

Ma torniamo al tema principale. I Veneti non sono italiani e non lo sono neanche oggi, poiché il Veneto è stato annesso all’Italia con un plebiscito truffa e quindi illegalmente, da circa centocinquant’anni fa parte di uno Stato occupante, a sua volta privo di sovranità, poiché gestito dalla finanza internazionale e quindi provvisto di un potere ottenuto solo per inconsapevolezza di un popolo istruito nella falsificazione e che crede nell’esistenza di questo stato fantoccio per ignoranza.

Se non esiste sovranità, chi stiamo nutrendo?

E chissà perché non ci sono i fondi per la storia e l’archeologia? Chissà perché scompaiono le riviste specialistiche e le pubblicazioni sulle radici che invece abbondavano in passato? La scusa che internet ha soppiantato la carta non regge, invece dovremmo ragionare sulla volontà di estinguere il senso di appartenenza per volgari motivi politici che in questa sede è meglio evitare.

Dopo aver divagato su questioni di pura logica, che nella vita dello schiavo sembra totalmente scomparsa, torniamo al tema della vera identificazione di un popolo espropriato dell’identità per motivi puramente materialistici.

Quindi, riepilogando, abbiamo visto che la storia non è esattamente quella che ci è stata proposta a scuola. Si possono ottenere informazioni utili alla riscoperta dallo studio e dalla comparazione di diversi testi, dall’esamina della lingua e delle usanze, del materiale archeologico e andando oltre su diversi campi, ma soprattutto mettendo in gioco la logica e l’intuito ( la spiritualità è oltre entrambe) in un primo passo dividendo la storia ufficiale da quella reale, che nessuno ci ha mai raccontato.

Altra matassa da sbrogliare: le fonti! Per quanto riguarda le fonti antiche di greci e latini bisognerebbe sempre separare quelle relative a fatti di cronaca da quelle riferite ad eventi leggendari. I fatti di cronaca, ovvero di eventi vissuti direttamente e riportati, come battaglie, editti, esiti dei conflitti, i quali come la matematica lasciano poco spazio al dubbio. Sono fatti compiuti che danno al vincitore la possibilità di scrivere la storia nella loro ottica e ricordiamo che molti autori classici dipendevano dai loro sovrani, come oggi il giornalismo italiano è di parte poiché sostenuto dal potere vigente. Poi ci sono le fonti di origine favolistica, quelle che si basano su archetipi e formule poetiche, le quali si possono riferire a memorie di eventi reali oppure totalmente inventati. Il problema si pone quando vogliono imporre la visione di una favola piuttosto che di una evidenza archeologica, linguistica e culturale che si rende nota in territori totalmente distinti da quelli della narrazione fantastica. E chi non crede alle favole della tata straniera, realizza il tema dell’articolo: Noi Veneti non siamo Italiani! Qui, sta solo a noi decidere se sia il caso di credere alle favole di uno sconosciuto o se interessarci al lascito dei nostri antenati.

*Per avere più confronti anche sulla mitografia e la controstoria, ho raccolto studi personali dal 1991 ad oggi, in un testo intitolato FIGLI DEL SOLE IPERBOREO, edito in proprio presso BiDiGi editore nel 2022.