VENETI E CELTI SONO LA STESSA FAMIGLIA.

Veneti è solo il nome di una delle tante tribù celtiche della Prima Europa ma potremo anche dire che tutti i Celti sono Veneti chiamati con altro nome. La leggenda di Antenore è solo una propaganda romana per la politica vincente del dividi et impera con cui riuscirono a conquistare le Gallie.

Sintesi essenziali su articoli scritti in precedenza, di Auro Wild.

Andiamo al sodo:

Punto primo; Smontiamo subito un mito:

In Anatolia del Nord (regione della Paflagonia, affacciata sul Mar Nero) non esiste nessun reperto paleoveneto né alcuna evidenza archeologica venetica.

La leggenda di Antenore sembra frutto di pura invenzione ad uso e consumo della propaganda romana per farsi amici i Veneti che già possedevano un antica civiltà nel momento della loro espansione, una civiltà venuta da Nord.

Prima della venuta dei Romani non esisteva leggenda antenorea in terra veneta.

I Romani quindi hanno usato i racconti di Omero (Iliade) per giustificare un origine divina comune attraverso il troiano Antenore (duce dei Veneti) ed Enea (capostipite dei Romani) entrambi giunti in Italia da Troia, secondo loro ubicata in Anatolia.

Troia in realtà non è mai stata realmente collocata geograficamente né Omero era greco e le leggende omeriche sono racconti tramandati dai Greci di ignota provenienza.

L’archeologo H. Schliemann disse di aver scoperto Troia in Turchia, tuttavia mancano le prove evidenti della grande guerra narrata nelle omeriche; di sicuro ha scoperto le vestigia di un antica città che non è Troia.

Ps: I Veneti vengono menzionati nell’Iliade ma non i Celti né i Romani che ancora non esistevano, quindi si deduce che i Veneti erano atavici progenitori della famiglia indoeuropea, o proto-celti.

Punto secondo; I Veneti non vengono ascritti tra gli italici ma ai gruppi celtici:

Secondo l’antropologo Otto Reche e studiosi d’oltralpe, i Veneti fanno parte della grande famiglia dei Celti in quella visione che viene definita celtitudine veneta suffragata da prove archeologiche che li riconducono ad Hallstatt, definita Culla della Cultura Celtica, per moda e consuetudine moderna definita patria d’origine dei Celti, ma prima ancora abitata dai Veneti come hanno spiegato molti autori inclusi gli Sloveni I. Tomažič, M.  Bor e J. Šavli.

Alla luce dei loro studi la cultura venetica è protoceltica, quindi i Celti altro non sono che i Veneti stessi identificati con altro nome.

Anche linguisti affermati come Harald Haarmann hanno definito i Veneti dell’Adriatico come gruppo di lingua indoeuropea non italico.

Andres Pääbo ha fatto di più, con uno studio sul venetico che toglie, o se vogliamo introduce, ogni dubbio.

Nessun linguista italiano ha mai risolto il problema della lingua venetica, associandola spesso col latino invano.

Reperti archeologici riconfermano la discesa dei Veneti attraverso la via dell’ambra dal Baltico all’Adriatico intorno al 1200 a.e.v.

La cultura dei campi d’urne e della cremazione dei corpi era comune ai Veneti e ai Celti delle origini perché in realtà non vi era distinzione fra essi.

Le distinzioni sono state fatte solo in epoca classica per separazioni tribali dovute alla crescita demografica.

I Greci chiamarono per la prima volta questi gruppi indoeuropei Keltoi (Celti) mentre chiamarono Enetoi i Veneti riprendendo questo nome dai racconti di Omero, tuttavia se li avessero incrociati prima nella storia, probabilmente avrebbero chiamato Veneti e Celti alla stessa maniera.

Terzo punto; l’irradiamento da Hallstatt:

Per condizione geografica naturale Hallstatt si trova vicino ai confini dell’odierno Triveneto.

Al tempo dei Romani Hallstatt faceva parte della regione del Noricum, confinante con la Decima Regio, la terra dei Veneti, ma anche la Vindelicia è da considerarsi veneta.

Prima ancora Hallstatt era venetica e sede della nascita storiografica dei Celti.

Ribadisco il termine stesso dato dai Romani alla loro Decima Regio “VENETIA ET HISTRIA” ricordando che la produzione artistica venetica delle situle accomuna l’area del Norico, attuale Austria, quindi Hallstatt, con tutto il Veneto e la Slovenia.

Altro che Antenore e le favole romane, qui ci sono reperti e identità culturali comuni.

Inoltre, Veneti e Celti adoravano le divinità nelle foreste, a differenza di Greci e Romani che costruivano templi di pietra, avevano tradizioni e costumi comuni come diceva Polibio, ed erano entrambi grandi metallurgi e lavoratori sopraffini di lamine in bronzo decorate (da cui l’arte delle situle che ebbe origine nel tempo dei campi d’urne e si propagò verso l’adriatico) arte che accomuna i primi Celti ed i Veneti e che non appartiene alla civiltà classica di Greci e Romani.

L’area Bellunese sta restituendo reperti di magnifica fattura, come le situle d’Alpago a riprova della comunicazione che attraverso le vie montane dolomitiche portava in Austria e più a Nord, mentre a sud termina nell’area adiacente al Po, tranne che per rare manifestazioni di quest’arte nell’area etrusca.

Il 45° parallelo, come separatore naturale, divide l’antica area degli “Iperborei” Veneti e Celti a nord dalle culture classiche a sud di questa precisa latitudine.

Il 45° parallelo scorre in effetti sulla linea del fiume Po (Eri-Danu-Eridano) e a nord del Mar Nero, dove sorge la Crimea e le distese russe, notoriamente definite terre dei Veneti da storici antichi (su questo è importante lo studio degli idronimi russi che basano il loro nome sulla divinità dell’acqua Danu, che si ritrova alla radice di Danubio. Don, Eridano, ecc…).

Sotto tal linea sono fiorite tutte le altre culture classiche, anatoliche, greche, cananee e romane.

I Veneti per separazione territoriale dai cugini Celti hanno diversificato la lingua e hanno impostato la loro vita sociale soprattutto sul commercio piuttosto che sulla guerra e questo ha permesso loro di sopravvivere, anche sotto il dominio romano, tuttavia non sono elementi determinanti per separarli dalla loro comune derivazione genetica con gli altri Celti.

Quarto punto; Il senso di appartenenza e la falsificazione storica.

Il senso di appartenenza viene da derivazione genetica e simpatia verso le genie simili, oltre che dal retaggio culturale.

Dopo l’annessione all’Italia il Veneto è stato trascinato verso una nuova falsificazione storica per assorbimento del nuovo stato occupante.

La storia è sempre manipolata dai vincitori per creare nuovo senso di appartenenza, ma questa alterazione è politica e non ha a che fare con la storia.

Gli italiani di oggi sono per la maggior parte di fenotipo e mentalità mediterraneo/levantini ed è innegabile il fatto che rimandino l’origine dei popoli italici e della loro storia alla culla classica e del Vicino Oriente, senza aggiungere l’influsso prepotente della cultura giudaico cristiana.

La leggenda di Antenore attraverso le fonti latine è stata posta avanti rispetto all’archeologia per creare appunto questo senso di italianità in un Nord est estraneo a se stesso, un po’ come in Terrasanta dove gli archeologi non trovano tracce dei favolosi regni biblici ma vengono tacciati dai rappresentanti religiosi per tenere in piedi il mito di Israele, il concetto non cambia; si tratta di falsificazione storica a fini egemonici.

I Veneti di oggi non sono quelli delle origini. Oggi potete incontrare Veneti che sembrano Tedeschi, altri che sembrano Arabi, altri ancora che sembrano Mongoli, etc; ma questo è dovuto al mescolamento etnico avvenuto durante secoli e secoli di diversi domini e di rapporti commerciali con paesi stranieri dal tempo dei Romani a quello barbarico e dalla Serenissima sino ad oggi.

I Veneti delle origini non erano un popolo italico e come i loro parenti Celti si sarebbero presentati fisicamente con dominanti nordiche e alpinoidi.

Tralasciando i numerosi libri, che normalmente le persone non leggono, di recente una serie di documentari trasmessi anche in Italia, intitolati “I Celti; una storia mai raccontata” con la regia di Marek Bures e Max Serio mostra ricostruzioni storiche in cui l’abbigliamento e lo stile di vita sono praticamente quelli dei Paleoveneti, riprodotti dalle immagini nelle situle e dai ritrovamenti archeologici, partendo da Hallstatt, perché appunto Celti è nome generico di molte tribù indoeuropee, così come genericamente si indicano i Pellerossa senza distinguerli per nomi tribali come Cheyenne, Sioux, Chippewa, Apache, etc….

Allo stesso modo, per esempio, i Celti Orobi hanno dato nome alle montagne Orobie, i Celti Boi hanno dato nome alla Boemia e alla Bavaria, i Celti Veneti al Veneto Adriatico.

Non considerare i Veneti come Celti è servito alla propaganda romana e poi italiana per rifarsi al mito inconcludente di Antenore e per non mostrare i Veneti come popolo diverso da quello italiano.

Ironicamente, ricordo le parole di un grande giornalista italiano, Indro Montanelli, il quale disse: Veneti e Venezia non sono Italia, cosa quanto mai evidente.

Quindi, il senso di appartenenza e la storia dei popoli spesso non coincide con il senso dello Stato (che non è la Nazione) né con l’alterazione storica che diventa falsificazione.

Quinto punto; dubbi leciti: gli elementi orientaleggianti, i cavalli e l’area carpatico-scitica.

Indubbia è la provenienza nordica dei Veneti Primi attraverso la via dell’ambra come è indubbio il fatto che il mito di Antenore non è comprovato da dati archeologici, completamente assenti in Turchia. Ma è capitato che alcuni formulino la domanda: Come mai l’arte delle situle veneta quanto celtica ha scene orientaleggianti?

Come mai i cavalli dei Veneti antichi erano simili al cavallo arabo?

Allora, l’arte orientaleggiante non ha a che fare con il Medio Oriente ma con l’area carpatico-scitica e le distese euroasiatiche; il cavallo veneto era simile a quello arabo ma non necessariamente proveniente dall’Arabia, piuttosto dalle grandi distese euroasiatiche, dove i primi cavalli vennero domati e da dove provengono tutti gli equini.

Tra un po’ parleremo del rapporto dei Veneti con le distese carpatico-scitiche.

Il cavallo arabo è stato selezionato nei millenni dalle tribù del deserto per resistere alle condizioni estreme del loro ambiente, ma l’origine del cavallo non è nel deserto. I Veneti erano considerati dagli antichi come il popolo dei cavalli e devono aver portato i quadrupedi dall’oriente asiatico nottetempo, selezionando una razza simile a quella araba, ma non dall’Arabia.

Come sappiamo i cavalli, per le conoscenze di oggi, furono allevati in principio dai Botai, una popolazione che abitava nell’area del Kazakhastan e poi furono introdotti in Europa ed anche nelle terre desertiche.

Ora sorge un dubbio, poiché noi ci soffermiamo alla nascita dei Celti da Hallstatt e prima ancora dei Veneti di Lusazia, ma non è ancora certa l’Urheimat di tale civiltà protoindoeuropea veneto-celta, che sembra essere mitologicamente ubicata nell’estremo settentrione del mondo all’origine, ovvero la leggendaria Hyperborea (per questo Veneti, Celti, Sciti, Cimmeri e Daci spesso vengono citati come Iperborei dagli antichi) ma oltre la leggenda, e più vicini alla storia che precedette la civiltà lusaziana, dobbiamo osservare alle distese eurosiberiane come luoghi di antiche migrazioni.

I Veneti dell’Adriatico provengono dalla Cultura di Lusazia che si sviluppò nel Baltico intorno al 1300 a.e.v. e scesero nell’Alto Adriatico attraverso la Via dell’ambra intorno al 1200 a.e.v. , fondando anche la Civiltà di Hallstatt.

Ricordiamo i nomi venetici delle città famose dal Baltico all’Adriatico, lungo la rotta delle migrazioni: Vineta sul Baltico, Vienna in Austria e, attraverso la Val Venosta “valle dei Veneti” si approda a Venezia in Adriatico.

Anche la Civiltà celtica di La Tène, successiva a quella di Hallstatt, si trova sulla rotta venetica della Via del Sale e dello Stagno che raggiungeva la Bretagna, altra terra abitata dai Veneti, che forniva lo stagno indispensabile per forgiare la lega del bronzo di cui Veneti e Celti erano maestri artigiani.

Il Lago di Costanza in Svizzera era chiamato Lacus Venetus non a caso e non semplicemente per indicare il colore azzurro, come inteso dai Romani, che tra l’altro è il colore nazionale dei Veneti.

Prima ancora dello svilupparsi della Civiltà di Lusazia o dei campi d’urne, Celti e Veneti non erano un popolo differenziato e tribù del loro ceppo già frequentavano rotte commerciali che attraverso i fiumi navigabili portavano nelle distese russe e nell’area carpatico scitica, oltre alle aree atlantiche dove poi i Veneti fondarono insediamenti in Bretagna e nelle isole oceaniche.

Sciti e Cimmeri frequentavano le popolazioni venetiche (fonti russe e il libro dei tre Sloveni lo dicono chiaramente) per questo le raffigurazioni orientaleggianti ereditate e presenti nelle situle celtiche e venetiche hanno tratti che le ricollocano all’area carpatico scitica e non mediorientale.

Allo stesso modo i cavalli dei Veneti, che a ritroso nel tempo devono essere stati importati da tali aree, hanno caratteristiche simili ai cavalli arabi ma non sono arabi.

Gli Sciti sono considerati dal geografo Strabone Celti e secondo studiosi russi l’origine dei Celti è scitica: il termine con cui chiamavano i nobili Sciti era Skolot, da cui deriva Skolt o Kelt.

Ancor oggi in Scozia si usa dire Keltic piuttosto che Celtic e nella tradizione delle isole atlantiche una teoria che parla del quarto popolo invasore dell’Irlanda, i Tuatha De Danann, li indica come Sciti che attraverso i fiumi navigabili russi raggiunsero il Baltico e da lì superarono il Mare del Nord e l’Atlantico scendendo dalle isole settentrionali.

Sciti definiti Skolt o Kelt che incontrando i Greci furono definiti Keltoi.

I Territori carpatico scitici vengono definiti da Snorri Sturluson Vanaheimr, ovvero terra mitologica dei Vani, che corrisponde ai territori dei Veneti quali progenitori dei russi secondo le cronache storiche di Jordanes e lo stesso Snorri identifica l’Asgard con Troia (che ancora nessuno sa dov’è).

Nel principio sembra che Sciti, Veneti e Celti siano partoriti da una preistoria comune, da cui il popolo mitico degli Iperborei Tuatha De Danann partì a colonizzare le isole atlantiche portando con sé il nome dell’antica dea delle acque Danu o Dana che diede il nome ai fiumi russi, al Danubio e al Po come Eri-Danu.

Tuatha significa tribù attraverso la parola Teuta che è la stessa usata da Celti e Veneti per indicare una comunità.

Sempre Strabone indica la terra degli Iperborei sopra il Ponte Eusino, cioè sopra il Mar Nero e sopra il 45° parallelo, già menzionato, i Greci a loro volta dicono che la terra degli Iperborei si trova sopra i flutti del fiume Eridano, sopra il Po e sempre appena sopra il 45° parallelo, laddove io per congettura ho creato una mia teoria: gli antichi chiamavano Iperborei niente meno che i protoeuropei del blocco euroasiatico, ecco perché Veneti, Celti e Sciti vengono a volte definiti Iperborei, quali eredi di un’origine vetusta e settentrionale.

Ora, tutti questi elementi vanno a riconfermare che, genericamente, sia Veneti che Celti indicano un vasto calderone genetico protoeuropeo che si distingue nettamente dalla realtà classica e del Medio Oriente, giacché la latitudine critica del 45° parallelo nell’esatta metà tra il Polo Nord e l’Equatore, separa naturalmente il bacino della cultura classica e mediorientale dalla parte dell’emisfero settentrionale adibita allo sviluppo della cultura indoeuropea ed indoariana che produsse anche i Veda orali, conservati poi in India,  che all’origine facevano parte della vera religiosità europea da cui derivò probabilmente anche la sapienza druidica, che produsse i vari politeismi estranei alla cultura abramitica che poi si è impossessata dell’Occidente, falsificandone anche la storia.

I Veneti dell’Adriatico sono solo una delle tante tribù che nel pregiudizio italiano sono state separate per dar credito a teorie fuorvianti come il mito di Antenore.
Voglio ricordare inoltre il famoso linguista sovietico Aleksei Shakhmatov che identificò i Celti come i Wends, ovvero i Veneti, creando un legame celta veneto presso il Mar Baltico da dove la cultura dei campi d’urne si irradiò verso Hallstatt e l’Adriatico.

Ci sono troppi elementi convergenti, fonetici, linguistici, materiali ed archeologici per riconsiderare la storia dei Veneti originali.

Molte altre nozioni e raccolte di elementi da bibliografia le ho trascritte nel libro Figli del Sole Iperboreo, edito nel 2022.

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