Viviamo in un mondo dove religioni, istruzione e società si basano su falsificazioni a fini egemonici, con la complicità di un apatia culturale che domina masse senza identità. Potremo definire tutta questa farsa con la frase latina “ad usum delphini” ad uso del Delfino, ovvero dell’istruzione manipolata a favore di chi comanda.
Fin dalla preistoria il nord est adriatico ha mostrato, attraverso l’archeologia, la presenza di tumuli e castellieri che non hanno eguali nel resto della penisola, denotando fin dall’antichità un estraneità culturale ed un unicità ben definita. Poi, circa 3200 anni fa, giunsero i Veneti, un popolo di lingua indoeuropea non italica sceso dal settentrione, dall’area nord europea del baltico, attraverso la via dell’ambra.
Stimati linguisti e storici hanno ben indagato sul popolo dei Veneti, i quali hanno dato il nome anche alla Nazione che oggi viene definita regione.
Nel pregiudizio italiano, i Veneti vennero ascritti come popolo italico preromano, per ovvie ragioni politiche, cercando di tradurre la loro antica lingua con il latino, senza successo, e per forza aggiungo, dato che il venetico è più antico e non può essere tradotto con una lingua di più recente formazione. Sempre per lo stesso pregiudizio, vige il verbo delle fonti latine, laddove hanno diffuso la leggenda di Antenore e della provenienza orientale dei Veneti dalla regione della Paflagonia a nord dell’odierna Turchia, peccato che in Anatolia non esista nessun reperto archeologico della civiltà veneta, niente di niente!
Quante volte vi siete imbattuti in frasi fatte o video nel web in cui sedicenti esperti (spesso non veneti), storici allineati o appassionati cominciano dicendo: oggi vi parleremo di un popolo dell’Italia preromana, i Veneti, le fonti li citano bla, bla, bla, …, provenirono dall’Asia Minore e bla, bla, bla… senza affrontare il vero tema della provenienza né citando tutti gli autori che dicono altro. C’è da dubitare che questi youtubers abbiano consultato gli studi e le sintesi di Müller Karpe o di Giovanni Leonardi, persone che hanno messo le mani sulla terra e sui suoi resti, laddove le fonti possono andare in contrasto, aprendo nuovi interrogativi. L’illustre, grande studiosa di archeologia e sovrintendente delle Antichità del Veneto, Giulia De Fogolari, ad esempio, citò sempre tre possibili provenienze, parimenti agli Etruschi, da persona di raffinata intelligenza e senza escludere nulla. Quindi mise in campo la possibile provenienza omerica, quella da nord, attraverso i valichi alpini e quella da est, attraverso i Balcani per i passi friulani.
Citiamo anche Vera Bianco Peroni, Renato Peroni, Gianluigi Carancini, Raffaele De Marinis, Otto Hermann Frey e volendo tanti altri, i quali hanno testimoniato in maniera asettica e scientifica certi tipi di rinvenimenti come spade, pugnali, bronzi, resti ceramici di tipologia affine a ciò che definiamo nostra e che è distintiva e propria di una cultura veneta, nord italica, retica e celtica che differisce dal resto dei popoli italici e del Mediterraneo, e che questa tipologia proviene dalle Età del Bronzo sviluppatesi nell’Europa continentale.
In alcuni casi mi sono imbattuto in persone che citavano la Treccani come fonte unica, la quale riferiva le solite notizie vigenti sui Veneti, senza alcun approfondimento e prive di ogni valore. Vorrei ricordare che se si vuole informarsi su un popolo, ci si deve riferire ad una mole enorme di dati e non sul paragrafo succinto di una enciclopedia-dizionario, che ripete a pappagallo notizie ufficializzate dalle solite parti. Stendiamo un velo pietoso e riprendiamo.
La meravigliosa leggenda omerica di Antenore infatti altro non è che una favola di pura invenzione propagandata dai Romani per farsi amici i Veneti che avevano sviluppato una civiltà progredita prima della loro. Padova fu fondata infatti quasi mezzo millennio prima della nascita di Roma, secondo la fonti, ma attraverso gli scavi si sa che è molto più antica e non vi è traccia della favola antenorea in terra veneta prima della presenza dei Romani. Tito Livio d’altronde lavorava alle dipendenze di Augusto e fu al suo tempo che venne tramandata la leggenda favolosa. Se fosse vera quella leggenda, perché non venne tramandata prima dai Veneti stessi e trasmessa ai Romani? Invece, è evidente che in epoca paleoveneta non c’era nulla di tutto ciò. E si sappia che la tomba di Antenore a Padova è un falso, un’opera di recente costruzione, un’edicola medievale dedicata appunto al personaggio favolistico.
Antropologi d’oltralpe come Otto Reche hanno ascritto i Veneti non tra i popoli italici ma tra quelli celtici “celtitudine veneta” ed includiamo pure Polibio e Strabone, spesso ignorati, ed è evidente che la cultura venetica provenne da nord e che la stessa Hallstatt sia sorta nei territori frequentati dai Veneti prima che si identificasse come culla della cultura celtica. La cultura venetica infatti si può considerare protoceltica. Allo stesso modo linguisti affermati come Harald Haarmann e altri hanno distinto il venetico come lingua indoeuropea non italica, altri ancora come protoslava. A proposito di studi alternativi sulle origini, non dimentichiamo il contributo essenziale dei tre sloveni Jožko Šavli, Matej Bor e Ivan Tomažič, nel libro I VENETI progenitori dell’uomo europeo, tradotto in tre lingue oltre lo sloveno e censurato in Italia, oltre al più recente studio di Andres Pääbo, THE VENETIC LANGUAGE, a cui seguiranno altri. Pure Indro Montanelli, una geniale eccezione nel giornalismo italiano, disse che i Veneti e Venezia non sono Italia.
I Veneti delle origini erano un popolo nordico e non latino, quelli di oggi invece sono il risultato di una promiscuità generata da secoli di diverse dominazioni, tuttavia culturalmente i Veneti continuano ad esistere; mantennero la propria indipendenza anche sotto il dominio romano e per più di mille anni la Repubblica di Venezia ha dominato il Nordest, superando in longevità l’impero romano di quasi tre volte, eppure nei libri didattici delle scuole dell’obbligo non se ne parla, appunto perché i programmi scolastici programmano le nuove generazioni alle falsificazioni storiche che di volta in volta formano le nuove società, senza dire che la preistoria viene trattata marginalmente. …Celebre la frase del conte di Cavour: Abbiamo fatto l’Italia, ora facciamo gli Italiani! Quindi va da sé che il sentimento nazionalista italiano è una costruzione che non ha a che vedere né con la storia reale né con le radici dei diversi popoli che compongono questa finzione giuridica chiamata Italia, a sua volta creatura e azienda dell’America (una finzione nella finzione, che genera solo falsi ideologici). Purtroppo la fortuna della falsificazione storica e della sottomissione a patrie fasulle ha due ingredienti fondamentali: 1- Un potere politico, economico e culturale in mano a manipolatori dell’istruzione e 2- Una massa di persone assenti e prive di memoria storica, concentrate solo su se stesse per appagare le necessità create dalle illusioni e dagli illusionisti. Il sentimento di uno stato nato nella falsificazione culturale non può che generare la distruzione dello stato stesso, è solo questione di tempo! Il terrore di un sistema illusorio è che le menti degli illusi si risveglino e la storia insegna che nessun torpore è eterno.
Oggi il demone del fallimento sociale si chiama globalismo ed il suo motore mortificante si identifica nei poteri forti dell’alta finanza, promuovendo l’idea che i gruppi etnici-culturali non esistono per esercitare il potere del controllo totale sulle masse, attraverso mistificazione, svilimento dei ruoli sessuali, multiculturalismo caotico e promiscuità etnica disarmonica. I programmi scolastici sono appunto frutto di questa intenzione atta all’annichilimento dell’essere umano, che di per sé ha perso la curiosità per ciò che è importante e si concentra sempre più sulle banalità e le trappole della comodità. Di fatto anche la storia è diventata una trappola in seno alla falsificazione. I nuovi studenti sono programmati ad un educazione atta a generare “nuovi ignoranti” apparentemente istruiti ma isolati in prigioni mentali ben collaudate. I titoli di studio valgono più delle persone, quando dovrebbero essere le persone a generare il loro titolo.
Pensate se la storia non fosse modellata ad usum delphini, se la cattedre fossero gestite da uomini non politicizzati e neutrali; allora la storia andrebbe in un’altra direzione, opposta all’idea stessa di globalismo e di appiattimento: si darebbe vigore all’idea delle vere nazioni, composte da etnie ben definite, unite in seno al valore del sangue, della mentalità e delle attitudini genetiche, ognuna indipendente economicamente, socialmente e culturalmente. Questo è improponibile in un tempo in cui poche famiglie vorrebbero sovvertire l’ordine naturale delle cose a proprio vantaggio, facendo dell’umanità un ammasso di bestiame omologato sotto la bandiera di un uguaglianza inesistente, tuttavia il risveglio a nuova coscienza spetta solo al singolo individuo e come dice il proverbio, il diavolo fa le pentole e non i coperchi, quindi spetta a noi guardare dentro al brodo preparato da altri per separare il commestibile dal veleno.
La natura è diversità, l’uguaglianza “forzata” è contro natura e per questo fallirà! Se esistono le razze tra i gatti e i cani, se esistono le varianti di specie in tutte le creature viventi, come fanno a non esistere le etnie umane? Il valore della storia sta nel valore dei popoli e delle armonie tra di essi, senza questo vige il caos della desolazione su cui domina il verbo del male. La risposta sta nella solita falsificazione atta a dominare le masse laddove anche il termine razzismo è un invenzione del sistema per evitare che la gente si faccia domande e si identifichi in ciò che la natura crea, ovvero la varietà.
Ma torniamo al tema principale. I Veneti non sono italiani e non lo sono neanche oggi, poiché il Veneto è stato annesso all’Italia con un plebiscito truffa e quindi illegalmente, da circa centocinquant’anni fa parte di uno Stato occupante, a sua volta privo di sovranità, poiché gestito dalla finanza internazionale e quindi provvisto di un potere ottenuto solo per inconsapevolezza di un popolo istruito nella falsificazione e che crede nell’esistenza di questo stato fantoccio per ignoranza.
Se non esiste sovranità, chi stiamo nutrendo?
E chissà perché non ci sono i fondi per la storia e l’archeologia? Chissà perché scompaiono le riviste specialistiche e le pubblicazioni sulle radici che invece abbondavano in passato? La scusa che internet ha soppiantato la carta non regge, invece dovremmo ragionare sulla volontà di estinguere il senso di appartenenza per volgari motivi politici che in questa sede è meglio evitare.
Dopo aver divagato su questioni di pura logica, che nella vita dello schiavo sembra totalmente scomparsa, torniamo al tema della vera identificazione di un popolo espropriato dell’identità per motivi puramente materialistici.
Quindi, riepilogando, abbiamo visto che la storia non è esattamente quella che ci è stata proposta a scuola. Si possono ottenere informazioni utili alla riscoperta dallo studio e dalla comparazione di diversi testi, dall’esamina della lingua e delle usanze, del materiale archeologico e andando oltre su diversi campi, ma soprattutto mettendo in gioco la logica e l’intuito ( la spiritualità è oltre entrambe) in un primo passo dividendo la storia ufficiale da quella reale, che nessuno ci ha mai raccontato.
Altra matassa da sbrogliare: le fonti! Per quanto riguarda le fonti antiche di greci e latini bisognerebbe sempre separare quelle relative a fatti di cronaca da quelle riferite ad eventi leggendari. I fatti di cronaca, ovvero di eventi vissuti direttamente e riportati, come battaglie, editti, esiti dei conflitti, i quali come la matematica lasciano poco spazio al dubbio. Sono fatti compiuti che danno al vincitore la possibilità di scrivere la storia nella loro ottica e ricordiamo che molti autori classici dipendevano dai loro sovrani, come oggi il giornalismo italiano è di parte poiché sostenuto dal potere vigente. Poi ci sono le fonti di origine favolistica, quelle che si basano su archetipi e formule poetiche, le quali si possono riferire a memorie di eventi reali oppure totalmente inventati. Il problema si pone quando vogliono imporre la visione di una favola piuttosto che di una evidenza archeologica, linguistica e culturale che si rende nota in territori totalmente distinti da quelli della narrazione fantastica. E chi non crede alle favole della tata straniera, realizza il tema dell’articolo: Noi Veneti non siamo Italiani! Qui, sta solo a noi decidere se sia il caso di credere alle favole di uno sconosciuto o se interessarci al lascito dei nostri antenati.
*Per avere più confronti anche sulla mitografia e la controstoria, ho raccolto studi personali dal 1991 ad oggi, in un testo intitolato FIGLI DEL SOLE IPERBOREO, edito in proprio presso BiDiGi editore nel 2022.